Pupi Avati, veterano del cinema italiano nelle vesti di regista, sceneggiatore e autore, ha dedicato l’intera esistenza alla narrativa. Avati si identifica come un raconteur, erede di una tradizione orale ancestrale e rustica. “La mia infanzia trascorsa in campagna ha fatto sì che il racconto popolare diventasse il nostro principale strumento educativo e di svago, un modo per tenerci a bada. E poi c’erano i rituali di una fede antica, inclusi gli spiritismi. Da bambini, eravamo messi a letto prima che gli adulti iniziassero a invocare gli spiriti, una pratica quasi desueta oggi ma che allora accendeva in noi creatività e fantasia,” ha condiviso Avati in una recente intervista a Non Stop News di RTL 102.5.
La sua inclinazione per il grande schermo sembra essere una passione trasmessa geneticamente. Avati rivela come, solo post mortem, abbia scoperto il desiderio segreto della madre di essere attrice, attraverso i suoi diari personali. “Mio fratello ed io abbiamo realizzato molti film senza mai sapere del suo sogno. È un’occasione mancata che mi ha sorpreso,” riflette Avati.
Riguardo ai fermenti culturali del ’68, Avati rievoca: “Era un’epoca in cui sembrava si potesse dire e fare di tutto. Ricordo ancora i dialoghi con gli amici al Bar Margherita, domandandoci perché non girare un film anche noi. Eravamo persone di umile estrazione, ma ciò non ci ha fermati dal tentare.”
Nel suo ultimo lavoro letterario, “L’orto americano”, Avati narra di un giovane scrittore che viaggia in America con i suoi defunti. “Questo libro è fortemente personale. Ho ereditato dalla mia madre l’abitudine di salutare i nostri cari scomparsi attraverso le loro fotografie. Con il tempo, quelle poche immagini sono diventate centinaia. Dir loro buonanotte mi dona una pace insolita e una profonda gratitudine per il loro ruolo nella mia vita. In un’epoca in cui i defunti vengono velocemente dimenticati, io faccio di tutto per mantenerli vivi nella memoria,” spiega Avati a RTL 102.5.
Quando si parla del suo successo più grande, Avati non ha dubbi: sposare la donna più bella di Bologna, sua moglie, è stato il picco della sua vita. “Dopo 59 anni insieme, la nostra comunicazione si è semplificata, ma ogni tanto rivedo in lei la ragazza che era, e questo mi commuove profondamente,” confessa. E riguardo alle delusioni? “Non mi considero un uomo frustrato, non ho mai avuto grandi flop al botteghino, ma ho realizzato 55 film. Da venditore di bastoncini di pesce a regista, la vita mi ha sostenuto nel salto nel buio, e questo mi sembra un piccolo miracolo.”
Credits: Agenzia di Stampa Italpress – Immagini: agenzia Fotogramma